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INDICE DEL CAPITOLO 3

3. IL MOTO UNIFORME

3.1 Lo schema di moto

3.2 Le azioni tangenziali

3.3 La scala di deflusso


3. IL MOTO UNIFORME

3.1 Lo schema di moto [torna all'indice]

Per moto uniforme si intende un moto le cui caratteristiche non variano nello spazio. Nel nostro caso, assumendo uno schema unidimensionale, è sufficiente che tale condizione sia rispettata lungo il percorso della corrente individuato dalla coordinata spaziale x.

Moto le cui caratteristiche non variano nello spazio.Descrive un moto in cui la velocità è indipendente dal tempo, e si mantiene costante per ogni traiettoria.


Video su moto uniforme

Per l’uniformità del moto occorre che le caratteristiche geometriche dell’alveo (sezione trasversale, profilo longitudinale, assetto planimetrico) e le caratteristiche idrauliche della corrente (portata, livelli idrici, scabrezza) siano “uniformi” nel senso anzidetto, cioè non mostrino variazioni lungo x.

Qualunque variazione spaziale delle caratteristiche geometriche e/o idrauliche perturba in modo più o meno esteso il regime di moto uniforme, dando origine a condizioni di moto permanente. Tali tipo di moto sarà studiato nel capitolo successivo.Moto in cui

Moto in cui il campo di velocità è independente dal tempo. Questo vuol dire che qualsiasi moto, anche turbolento, può essere permanente, a patto che in ogni punto il vettore velocità non vari nel tempo.

La definizione di moto uniforme è alquanto restrittiva, soprattutto se si considerano i corsi d’acqua naturali ove le variazioni delle caratteristiche geometriche e/o idrauliche sono praticamente presenti lungo tutto il corso d’acqua.

Tuttavia, i requisiti di uniformità possono essere soddisfatti facendo riferimento ai valori medi delle grandezze in gioco come per esempio in quei tratti fluviali ove le sezioni trasversali mostrano variazioni modeste di forma e di superficie, ai quali risulta accettabile attribuire una sezione fluviale media, una pendenza media. In generale, gli effetti delle variazioni di direzione, se non molto accentuate, possono essere trascurati.
Situazioni ove si verificano sensibili variazioni di sezione e/o di pendenza non possono essere schematizzati con il moto uniforme (esempio: restringimenti di sezione, presenza di ponti, salti di fondo).

Ovviamente, è necessario che nel tratto fluviale così schematizzato siano rispettate le condizioni di uniformità anche delle grandezze idrauliche, seppur con analogo riferimento ai valori medi. Così dovrà essere rappresentativo del tratto un valore medio di scabrezza, di portata liquida e di livello idrico. Situazioni ove si manifestano confluenze e/o derivazioni che possono indurre nel tratto considerato sensibili variazioni di portata e/o di livello, non possono essere schematizzate con il moto uniforme.
Viceversa, spesso ben si prestano allo schema di moto uniforme le condizioni di moto che si manifestano nei canali artificiali (bonifiche, irrigazioni, drenaggi) e nei condotti di fognatura.

3.2 Le azioni tangenziali [torna all'indice]

Le condizioni di uniformità espresse nel paragrafo precedente conducono ad uno schema rappresentato nella Figura 3.1.
L’analisi delle condizioni di moto possono essere dapprima studiate ipotizzando le condizioni di equilibrio delle forze nella direzione della corrente.
Con riferimento al volume d’acqua indicato a tratteggio, essendo il moto uniforme, le forze da considerare per l’equilibrio sono la forza peso, G, del volume d’acqua,

e le forze di attrito che si sviluppano sulla superficie di contatto acqua-alveo, il cui valore medio per unità di superficie è τm. Posta la pendenza dell’alveo pari a β, e indicando con Ω la sezione idraulica e P il contorno bagnato, l’equazione di equilibrio nella direzione del moto risulta:

(formula 3.1)                                    γΩLsenβ - τmPL = 0

Ponendo:

(formula 3.2)                                    senβ » if 

(approssimazione valida per valori dell’angolo β inferiori a circa 10°) , si ricava:

(formula 3.3)                                    τmγΩif/P

Richiamando la definizione di raggio idraulico, la formula 3.3 si può scrivere nella forma:

τmγΩif/P

(formula 3.4)                                    τmγRif

che fornisce il valore della tensione tangenziale media che agisce sul contorno bagnato in funzione delle altre grandezze della corrente.


Figura 3.1 – Moto uniforme: a) profilo longitudinale - b) profilo trasversale

Occorre osservare che la tensione tangenziale prima ricavata rappresenta, come già detto, il valore medio lungo il perimetro bagnato. I valori locali e la loro effettiva distribuzione lungo il contorno della sezione possono discostarsi anche significativamente da tale valore medio. Purtroppo non esistono ancora oggi criteri affidabili per la stima delle tensioni locali che, in via indicativa, possono essere stimate tramite la formula 3.4, sostituendo al valore del raggio idraulico l’altezza idrica locale.
Per semplicità, nel seguito si ometterà il pedice nel simbolo della tensione tangenziale, rimanendo sottinteso che con τ si fa comunque riferimento al valore medio.

τmγRif

Alle azioni tangenziali si possono ricondurre due importanti fenomeni:

- il fenomeno della dissipazione energetica;
- il fenomeno del trasporto solido;

Il fenomeno del trasporto solido, al quale sono associati, per esempio, i meccanismi di erosione, deposito e stabilità dell’alveo, non sarà trattato nell’ambito del presente corso.
L’assetto geometrico dell’alveo sarà pertanto considerato fisso.

Il fenomeno della dissipazione energetica è connesso al lavoro compiuto dalle azioni tangenziali che a loro volta risultano variabili con la velocità media della corrente, U, secondo una legge quadratica (moto assolutamente turbolento) del tipo:

(formula 3.5)                                    τ = kU2

Combinando la formula 3.4 con la formula 3.5 si ottiene la relazione:

τmγRif
τ = kU2

γRif = kU2

Ricordando la formula 2.4 e esprimendo in funzione della velocità media, si ha:

γ = ρg

(formula 3.6)                                    U2 = γRif/k = ρg Rif/k → U= ρ/k g Rif

La formula 3.6 è nella sostanza la formula che Chezy ricavò nel 1775 con procedimento del tutto analogo a quello sopra descritto e che oggi si preferisce esprimere nella forma:

U2 = γRif/k = ρg Rif/k → U= ρ/k g Rif

(formula 3.7)                                    U = C V*

dove V* = (g Rif)1/2 è la velocità di attrito, mentre C è il coefficiente adimensionale di Chezy, funzione del raggio idraulico, della scabrezza e della forma dell’alveo secondo la seguente espressione:

Si definisce velocità di attrito ... ... ...

(formula 3.8)                                    C = 5.75log(13.3fR/ε)

Ove ε è una dimensione lineare che rappresenta la scabrezza dell’alveo (tabulata in Tabella 3.1, f è un coefficiente numerico che tiene conto della forma della sezione. Per sezioni fluviali compatte si può assumere f=0.85.

Esistono altre formule del moto uniforme, ovviamente analoghe alla formula 3.7.
Manning (1891) ricavò una espressione simile sulla base di una serie di esperimenti in canali di forma e scabrezza costante, che nel Sistema Internazionale e Tecnico si scrive nella forma:

U = C V*

(formula 3.9)                                    U = (R2/3if1/2)/n

in cui n è il coefficiente di Manning [s/m1/3] (si veda anche wikipedia) anch’esso tabulato in relazione alle caratteristiche dell’alveo (v. Tabella 3.1).

Calcolo Formula 3.9:

R raggio idraulico (Ω/P). il raggio idraulico è definito dal rapporto AreaSezione(Ω)/Perimetro bagnato m
if pendenza del fondo alveo  
n

coeff.di scabrezza di Manning. da Tabella 3.1 Marchi-Rubatta a seconda delle condizioni dell'alveo

s/m^(1/3)
U velocità media nella sezione trsversale Q/A m/s
= ?

 

Una stima del coefficiente di Manning può anche essere dedotta dall’analisi di foto di tratti fluviali rappresentativi come riportato da Chow [6]. Si vedano inoltre le stime del coefficiente di Manning per corsi d’acqua con diverse morfologie effettuate dall’United States Geological Survey sulla base di misure di campo idrometriche.

[6] Chow V.T., 1959,  ‘Open channel hydraulics’,  Tokyo, McGrawHill, Kogakusha.


Tabella 3.1 (da Marchi E. & Rubatta A., ‘Meccanica dei fluidi principi e applicazioni tecniche’, UTET, 1981).

3.3 La scala di deflusso [torna all'indice]

La condizione di moto uniforme e stazionario istituisce per ogni sezione di un corso d’acqua una relazione biunivoca fra la portata Q e l’area della sezione idraulica Ω.
Data la dipendenza dell’area della sezione trasversale della corrente dal livello idrometrico, ne consegue la possibilità di misurare la portata defluente in una sezione assegnata al variare della quota della superficie libera, sempre nell’ipotesi che il deflusso avvenga in condizioni uniformi e stazionarie.
Questo rappresenta il procedimento tradizionale di misura delle portata dei corsi d’acqua. La scala delle portate così individuata prende il nome di scala di deflusso, e si usa porre nella seguente forma:

La scala di deflusso esplicita il legame che, in un alveo di assegnata pendenza, si istituisce tra portata e tirante idrico. Questo legame è definito tramite una formula di resistenza e dipende dalla geometria del canale e dalla scabrezza.

(formula 3.10)                                    Q = K•Ωm

dove K ed m rappresentano dei coefficienti a cui si assegnano valori costanti, adeguati al campo di variazione delle portate entro il quale si impiega la scala di deflusso.
Il coefficiente K è dipendente dalla scabrezza, dalla pendenza del fondo e dal contorno bagnato. L’esponente m risulta praticamente dipendente solo dalla forma della sezione, ovvero dalle caratteristiche geometriche della sezione. Nel caso della sezione rettangolare infinitamente larga (raggio idraulico confondibile con la profondità) m=5/3.
Scostamenti sensibili dal comportamento qui descritto si hanno se l’idrometro è installato in una sezione in cui, al variare della portata, non sono verificate le condizioni stazionarie uniformi.
Nel caso degli alvei naturali lo studio del moto nei corsi d’acqua naturali riguarda spesso sezioni trasversali costituite da parti chiaramente diverse fra loro per la forma, la profondità e la scabrezza relativa.
Negli alvei naturali (Figura 3.2) si osserva, generalmente, una parte centrale, più profonda, che costituisce il letto di magra, e le parti laterali, che si estendono sopra le aree golenali fino agli argini maestri, destinati al contenimento delle portate di piena.


Figura 3.2 - Schema sezione alveo naturale

Il deflusso in queste condizioni avviene con velocità differenti nelle varie parti ed il calcolo della portata totale si esegue valutando separatamente e sommando i contributi delle singole sottosezioni in cui si può suddividere l’intera sezione.
La separazione viene eseguita generalmente mediante rette verticali e di ogni sottosezione viene calcolato il raggio idraulico assumendo come perimetro bagnato il solo contorno solido. Nota la scabrezza di tale contorno, si valuta la portata con le formule del moto uniforme, restando unica la pendenza del fondo per le varie parti della sezione.
Si veda il sito dell’United States Geological Survey per un approfondimento su problema della costruzione della scala di deflusso (stage-discharge relation) nei corsi d’acqua.

 

 

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